
Se il 2020 e il 2021 hanno avuto come parola ricorrente quella del Covid, il 2022 verrà ricordato di sicuro per la questione ambientale, soprattutto perché, in particolare nel corso di questo anno, tutti noi abbiamo cominciato a risentire, in prima persona, di quelle che potrebbero esserne alcune implicazioni (ad esempio, l’innalzamento delle temperature). Inoltre sappiamo che la transizione verso un’economia maggiormente orientata alla sostenibilità ambientale è uno dei tre assi strategici del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).
In particolare si parla di impatto ambientale e sostenibilità.
Ma qual è il loro significato e cosa hanno a che fare col vino?
Solo nel 1972 si è parlato, per la prima volta, di sostenibilità ambientale, durante la prima Conferenza sull’ambiente delle Nazioni Unite. Venti anni dopo è stata prodotta la seguente definizione: “sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri”, allargando, quindi, la tutela ad una accezione più ampia, che riguarda non solo l’ambiente e la necessità di preservarne le risorse naturali per le generazioni future, ma anche la componente sociale, in riferimento ai servizi e alle condizioni di vita e, inoltre, l’aspetto economico, in termini di reddito delle famiglie e delle imprese.
Si tratta, come si può intuire, di un processo di transizione lungo e complesso che dovrà, necessariamente, originarsi da una vera e propria rivoluzione di tipo culturale.

E nel mondo del vino?
Come siamo messi?
Produrre vino inquina? E quanto?
Si è stabilito che per ogni bottiglia prodotta si possa calcolare l’emissione di circa un chilo abbondante di anidride carbonica.
Pensiamo alle acque di scarico inquinanti, agli scarti organici solidi e gassosi non sempre –ahimè- correttamente trattati. E poi, naturalmente, l’impatto legato a spostamenti, consegne ecc.
Se rispetto alla dilagante attenzione ecologista si è risposto con l’introduzione di tipologie produttive alternative a quella tradizionale (vino biologico, biodinamico, vino naturale e vino vegano, con tutti i limiti ormai noti), in risposta alla richiesta attenzione ai problemi climatici, si risponde con l’introduzione del concetto di sostenibilità.
Essa non è altro che una declinazione, applicata al vino, dei concetti indicati qualche riga fa: produrre vino cercando di preservare le risorse naturali per le generazioni future e ricercare i migliori metodi per ottenere il minor impatto possibile sull’ambiente.
Si tratta di un’istanza sempre più diffusa soprattutto tra i consumatori, tra i quali si segnala la nascita dei cosiddetti “Lohas” -Lifestyle of health and sustainability-, con una estrema attenzione a salute, sostenibilità, etica e senso di responsabilità nelle scelte di acquisto, attenzione per l’ambiente e per le generazioni future. Inutile osservare che la gran parte delle aziende ha preso buona nota di questi fenomeni, attuando modifiche progettuali e strategiche nella produzione e nella comunicazione, non sempre, però, in maniera limpida e lineare. E’ il caso del fenomeno del “green washing” strategia di comunicazione o di marketing perseguita da aziende, istituzioni, enti che presentano come ecosostenibili le proprie attività, cercando di occultarne l’impatto ambientale negativo.
Ma, volendo optare per un approccio ottimistico e concreto, in che modo un’azienda potrebbe fare la propria parte?
Alcune risposte più interessanti del mondo del vino ci appaiono anche le più pratiche e realizzabili.
Ad esempio accorgimenti tecnologici che possano preservare le caratteristiche di freschezza e bassa alcolicità (condizioni sempre più richieste dal mercato) intervenendo a livello colturale e non con pratiche di cantina più impattanti. Qualche esempio:
– uso del freddo per rallentare i processi enzimatici al momento della vendemmia
– uso consapevole e razionale di ceppi di lieviti selezionati con un rallentato tenore di conversione zuccheri-alcol
– incremento e diffusione della tecnica di raccolta anticipata delle uve (da sempre utilizzata ma oggi completate da uve diradate prima dell’invaiatura per ottenere un ‘mosto acido’ che viene poi aggiunto in diverse fasi della vinificazione).
– ritorno al “reso” delle bottiglie, ovviamente in chiave moderna ed ecologica.
Ma se, invece, vogliamo cominciare avviando un processo individuale di tipo culturale possiamo cominciare a privilegiare la “vocazionalità territoriale”, con l’osservazione e l’analisi attenta nonché il rispetto del territorio, favorendo e valorizzando risorse “spontanee”, sia in vigna, sia in cantina. In particolare, con questa espressione si fa riferimento a quelle caratteristiche “pedoclimatiche” che rendono un determinato territorio particolarmente adatto ad un determinato tipo di coltura. La valutazione viene fatta attraverso analisi del sottosuolo e delle condizioni climatiche.
Questa “predisposizione” influenza non solo la qualità del prodotto finale ma consente un intervento in vigna e in cantina ridotti al minimo.
Questo reputiamo sia l’approccio più responsabile, nell’attesa che accorgimenti tecnici più sofisticati (ma forse anche più costosi) e di più lunga realizzazione possano divenire più facilmente attuabili e alla portata di tutti.
