11 Novembre: «A San Martino ogni mosto diventa vino» oppure “L’estate di San Martino”, o, anche, “Fare San Martino”.
Quante volte abbiamo sentito questo proverbio e questi modi di dire?
E cosa significano esattamente?
Di San Martino sappiamo che visse nel IV secolo, nato nell’attuale Ungheria (l’antica Pannonia), e cresciuto prima a Pavia poi spostatosi nell’antica Gallia. Dopo un periodo trascorso come eremita, divenne vescovo di Tours, fondando uno dei primi monasteri dell’Occidente, e morendo alla fine del IV secolo.
La sua esistenza è punteggiata di episodi, a metà tra storia e leggenda, che lo vedono autore di gesti di incredibile generosità; tutti, in qualche modo, legati alla vita contadina. La sua figura risulta in ogni istante legata alla povertà, non come ideologia ma come dimensione di vita, nella quale esercitare la sua vocazione. Per questo motivo fu sempre vicino agli “ultimi” e avverso ad ogni tipo di mondanità.
Ad esempio, da cavaliere, si narra che donasse metà del proprio mantello ad un vecchio mendicante in balia del freddo e, subito dopo, incontratone un altro, ne donasse a questi l’altra metà. A questo gesto avrebbe fatto seguito un repentino cambiamento climatico che trasformò il freddo gelido in caldo tiepido: appunto l’ Estate di san Martino che indica un eventuale periodo autunnale in cui, dopo le prime gelate, si verificano condizioni climatiche di bel tempo e relativo tepore.
Dell’Estate di San Martino si dice che duri “tre giorni e un pochino”.
L’Estate di San Martino è nota anche in altre culture. Nei Paesi anglosassoni è nota come “Indian Summer” (letteralmente estate indiana); invece in alcune lingue slave, come il russo, è chiamata “Bab’e Leto” che significa “estate delle nonne”.
Ancora oggi San Martino viene celebrato in Belgio, Olanda, Polonia, Francia, Germania, Austria, Estonia e Lituania. Nei giorni precedenti l’11 novembre, vengono costruite lanterne di carta o di legno per le processioni.
Un’altra leggenda narra di un gruppo di oche che, col loro starnazzare fanno scoprire il nascondiglio di Martino che, per modestia, non voleva diventare Vescovo.
San Martino morì il 9 Novembre, ma fu sepolto l’11. Ecco perché la sua festa viene festeggiata in questa data, divenuta da subito un riferimento del mondo contadino. Ad esempio nell’ambiente agricolo, tutti i contratti (di lavoro, di affitto, di mezzadria) dovevano iniziare e finire l’11 Novembre, data di solito collegata alla fine dei lavori agricoli, tanto che, non di rado, dopo questa data, nelle strade di campagna ci si imbatteva nei carri carichi di bagagli e masserizie dei braccianti che traslocavano, ormai conclusi i lavori stagionali. Per questo motivo, in alcune regioni del Nord con l’espressione “fare San Martino” si intende: traslocare.
Soprattutto, però, questa data è legata alla maturazione del vino nuovo (in realtà il “Novello”) e alla tradizione di ritrovarsi per brindare tutti insieme: “a San Martino ogni mosto diventa vino”. La sua figura è presente nell’opera di molti artisti. In particolare l’episodio del mantello compare nell’opera di pittori e scultori, che vanno da El Greco, a Van Dyck, a Simone Martini, fino ad Aligi Sassu, solo per citarne alcuni. La sua iconografia più tipica è sicuramente quella del soldato, che taglia in due il suo mantello come atto di carità cristiana, ma è diffusa anche la rappresentazione di San Martino vescovo, spesso insieme ad altri santi. Non ha mancato di ispirare anche la letteratura, in particolare la poesia, come testimonia il brano che tutti noi conosciamo per averlo studiato all’epoca delle scuole elementari:
“… ma per le vie del borgo dal ribollir de’ tini
va l’aspro odor de i vini l’anime a rallegrar. … “
(San Martino G. Carducci 1883)