Le recenti gelate nei vigneti hanno costretto i viticoltori a fare gli straordinari accendendo dei falò per salvare i primi germogli di vite.
Gelate nei vigneti: le sfide di un clima imprevedibile
Nelle ultime settimane, le pagine dei social si sono riempite di immagini suggestive e curiose: quelle notturne di vigne illuminate da falò e rese quasi evanescenti da luci e nebbioline.
Cosa è successo? E dove si sono verificati questi strani fenomeni?
Le immagini in questione, in realtà, costituiscono il cotè glamour e affascinante di un fenomeno preoccupante perché impegnativo da affrontarsi, ma soprattutto destinato ad intensificarsi e ad allargarsi anche a zone considerate al sicuro fino a oggi.
Ma di cosa stiamo parlando?
Ci riferiamo a dei metodi (a detta di molti tradizionali, ma in realtà non proprio), utilizzati per prevenire il fenomeno delle gelate nei vigneti nel delicato periodo subito successivo alla comparsa dei germogli. Un momento, quindi, di assoluta importanza per i vignaioli, nel quale viene messo a repentaglio il lavoro di un intero anno.
Fino a qualche tempo fa eventi climatici di questo tipo riguardavano più di frequente zone considerate comunemente fredde, come il nord della Francia. Più di recente anche in Italia, regioni come il Trentino, il Veneto, nonché la Toscana vi hanno dovuto fare i conti.
Come si verifica esattamente?
Nelle ultime settimane si sono registrate temperature notturne particolarmente basse: spesso di 4 o 5 gradi sotto lo 0°C, soglia sotto la quale si aggrava il rischio che le gemme e le infiorescenze sviluppatesi in precedenza possano congelarsi e seccarsi rovinandosi in modo irreparabile.
Questo tragico fenomeno si è verificato anche in collina, a causa dell’assenza di vento, e non solo nei fondovalle, dove il rischio è più frequente, per via dell’umidità. Nelle settimane precedenti si erano avute, di contro, temperature particolarmente elevate che avevano favorito l’insorgenza dei germogli ed ecco verificarsi una condizione di estremo pericolo.
Questo rischio esiste da tempo, nelle zone più soggette, in modi diversi.
Il più caratteristico consiste nell’accendere dei veri e propri falò in vari punti del vigneto che, nottetempo, provvedano all’eliminazione della pericolosa umidità e, in particolare, creano una cappa sopra i filari che impedisca la caduta dell’umidità sulle piante. Solitamente si utilizza la paglia, che brucia più lentamente e consente un maggiore controllo delle fiamme.
Oppure si impiegano dei ventilatori posti al di sopra delle chiome, al fine di asciugare l’umidità o, infine, si ricorre all’irrigazione antibrina sovrachioma, un impianto di irrigazione che spruzza acqua nebulizzata, attivo per tutta la notte sulle piante. Questo metodo riesce a proteggere le piante quando le temperature si abbassano sotto lo zero.
Ci sono, però, delle controindicazioni rappresentate principalmente dai costi, sia del combustibile, sia della manodopera. Si tratta infatti di sistemi che vanno gestiti con estrema attenzione e che richiedono una massiccia presenza di personale.
Di solito, per questo motivo, si utilizzano per vigne di ridotta estensione e, soprattutto, per la produzione di vini con prezzi molto elevati: è il caso delle produzioni francesi di Chablis Gran Cru o della Romanée-Conti, o, per l’Italia, delle produzioni nella zona di Montalcino (come si è visto nelle cronache degli ultimi giorni).
Sostenibilità: coltivare vitigni adatti a una determinata zona
Oltre ai costi, desta perplessità anche l’impatto ambientale in termini di emissioni di CO2 e di dispendio di acqua.
Infatti la domanda è: quanto queste zone sono davvero vocate alla produzione vitivinicola o quanto lo sono per lo sviluppo di determinati vitigni?
Nel momento in cui l’azione antropica si svolge con strumenti tanto costosi e impattanti, quanto resta di vocazionalità territoriale?
Ovviamente ci si riferisce alle zone nelle quali questi interventi si rendano necessari di norma e non occasionalmente, come accaduto a Montalcino.
Ci sentiamo più vicini all’altro metodo suggerito dagli esperti: scegliere vitigni più resistenti o di germogliamento tardivo nelle zone “a rischio”, con particolare attenzione al contesto pedoclimatico, privilegiando vitigni che si sviluppino al meglio in quel determinato terreno.
Certo: anche in questo caso ci sono costi notevoli (carotaggio del terreno, analisi del sottosuolo, ecc.), ma si tratta di spese che si affronteranno una volta per tutte.
Tutto questo, ovviamente, in attesa di capire quale sarà la tendenza delle temperature nel prossimo futuro.
La tecnica dei falò per evitare gelate nei vigneti nel cinema
Ci piace concludere queste brevi considerazioni recuperando l’aspetto suggestivo del tema, così romanticamente rappresentato nel film “Il profumo del mosto selvatico” film del 1995 diretto da Alfonso Arau, nel quale un incomparabile Keanu Reeves e un’improbabile vignaiola (in sottoveste?) Aitana Sánchez-Gijón, si muovono leggiadri tra i filari mentre si assiste al salvataggio delle piante proprio attraverso la tecnica dei falò.
D’altra parte, il nostro amato vino compare spesso nei film. E in questo caso con tratti decisamente cinematografici.